domenica 19 maggio 2013

Cosa c'è dietro le polemiche giornalistiche sulle donazioni

 
 
A noi che lavoriamo nei musei interessa principalmente il rapporto con il pubblico, un po’ come ai negozianti, che cercano di scoprire cosa piace di più ai loro clienti per poter vedere sempre più persone nei loro esercizi.
Infatti sono solo i numeri delle presenze e i giudizi del pubblico a determinare la qualità della gestione, qualsiasi sia il servizio offerto, culturale o commerciale. Chi non frequenta e non conosce veramente un luogo, che sia un negozio o un museo, non ha il diritto di giudicarlo.
Ma c’è qualcuno che pensa di sapere tutto e di poter dire tutto sui musei solo “per sentito dire” o sulla base di“impressioni”. E’ una categoria di giornalisti che talvolta sembra avere a cuore i musei più di qualsiasi altro tema cittadino. >>>

Costoro, non avendo (in molti casi, non tutti) capacità autonoma di giudizio sui musei (dove peraltro non si vedono mai) cercano di evitare la fatica di una vera inchiesta, dove occorrono tempo, cultura e lavoro, e preferiscono montare ad arte un “gossip”, una notiziola, una questione secondaria, giocando poi con il titolo e con qualche giro di parole (per non rischiare la querela), in modo da generare nel lettore la sensazione che dietro le quinte dei musei ci siano, se non manovre oscure, almeno incompetenza professionale. Sono passati, purtroppo, i tempi, in cui si imparava qualcosa leggendo le pagine culturali… Succede così anche a Trieste.
Ma qualcuno dei lettori di quotidiani si sarà chiesto perché, improvvisamente, in una città che ha ben altri problemi, alcuni comuni a tutti, come la crisi economica e i suoi effetti, negozi vuoti, fallimenti quotidiani, fughe di giovani e disoccupazione in aumento, altri più specifici (il degrado del Porto Vecchio, la Ferriera, le Generali forse in partenza, la discutibile ricaduta sulla città del risparmio dei cittadini …), ci si occupa proprio di musei, ma non per sostenere la funzione e la faticosa sopravvivenza di queste istituzioni, bensì per scavare nelle pieghe della gestione, per denunciare insomma la probabile esistenza della“mala-cultura”, “scimmiottando” la malagiustizia, la malasanità, ecc.
Dopo avere dedicato innumerevoli e impietosi articoli al degrado del Castello di Miramare, che attraversa una fase complessa, e comunque transitoria, a causa dei tagli alle spese (di cui tutti parlano, ma nessuno sembra consapevole che non possono essere solo teorici!) adesso è la volta del Museo Revoltella,


di cui il quotidiano cittadino non può scrivere che è degradato o funziona male, perché al contrario è sempre aperto, ben tenuto e frequentato (guardate le recensioni su Tripadvisor, siamo la terza attrazione – dopo Piazza Unità e il golfo - su 46 prese in esame a Trieste! L’ultima recensione, del 16 maggio, lo definisce “fantastico”) e svolge un’attività più intensa di quella di qualsiasi museo della regione, ma - ci dovrà pure essere qualche magagna, no? - si lascia “sfuggire”donazioni importanti, come il busto in bronzo di Silvio Benco dello scultore Nino Spagnoli offerto tempo fa dalla vedova. Scandaloso!

A nulla serve spiegare che probabilmente c’è dietro un equivoco, che siamo ben lieti di ricevere questo dono, come tanti che ci arrivano continuamente, e che non c’è alcuna dietrologia da fare… no, troppo semplice!, si vanno a cercare le prove del “crimine”collegando questo fatto con episodi simili anche se lontani nel tempo e in parte costituiti, non da fatti reali, ma da notizie “montate” dallo stesso quotidiano.



Cioè, per fare un esempio recente: se Mirella Schott Sbisà, vedova del pittore triestino Carlo Sbisà, decide liberamente di donare un’opera alla Galleria d’arte moderna di Udine, capita che sul “Piccolo” il 16 marzo 2013, compaia un articolo del giornalista Fabio Cescutti (membro del Curatorio del Museo Revoltella e aspirante – ma poi mancato - presidente) intitolato “Trieste perderà due opere d’arte del pittore Sbisà” con richiamo in prima pagina “Trieste regala a Udine due opere di Sbisà” mentre sul giornale fratello, “Messaggero Veneto”, la stessa notizia compare con un altro titolo, entusiasmante nella pagina sportiva ma quanto meno stridente, per non dire addirittura delirante, in quella culturale: “Gli affreschi di Sbisà: Udine vince su Trieste”. Se si leggono i testi degli articoli, nulla fa pensare a una lotta fratricida fra le due città e le due istituzioni per l’opera di Sbisà, ma al giornalista si capisce che farebbe piacere se fosse così, e “piange” per la rapina di Udine, mentre secondo chiunque lavori in questo campo è auspicabile e logico che un artista sia conosciuto e valorizzato anche in un’altra città, oltre che nella sua. Che bisogno c’è di trovare il colpevole di questa “nefandezza”? E poi se un dono non viene fatto, la responsabilità maggiore sarà di chi non lo fa, non certo di chi “non” lo riceve. E pensare che Cescutti è notoriamente in rapporti di amicizia con la signora Mirella Sbisà… Come mai non l’ha dissuasa, suggerendole di donare l’opera al Museo Revoltella, del cui Curatorio egli fa parte?
Abbiamo risposto a quell’articolo confermando che anche il Revoltella sarebbe molto interessato a ricevere in dono opere di Sbisà dalla famiglia, per cui se lo riterranno opportuno, sono già informati a mezzo stampa che i loro doni troverebbero un’ottima accoglienza.



Non è la prima volta che i giornali lanciano, con enfasi più adatta ai tanti scandali politici di cui si legge in altre pagine, il tema delle “mancate donazioni”, che di solito sono solo labili ipotesi, vaghe intenzioni, mai veramente espresse, o anche, in qualche caso, meschine vendette di chi non è riuscito a venderci qualcosa. E, più spesso di quanto non si creda, anche alibi per mascherare delle precise responsabilità e cercare di ribaltarle su di noi.
Tra i temi cari a certi affezionati censori del Revoltella, resta sempre di attualità la mancata donazione dei dipinti di Filippo de Pisis del notaio triestino Manlio Malabotta, che, nel 1996, per volontà della vedova Franca Malabotta, furono donati alla Galleria d’arte moderna di Ferrara. Allora il fatto destò abbastanza scalpore a Trieste, anche perché solo un paio di mesi prima il Museo Revoltella, per volontà dell’assessore alla cultura Roberto Damiani, aveva dedicato alla collezione del notaio una grande mostra che occupava tutta la galleria del quinto piano.
La mostra fu fatta anche con la speranza di indurre la proprietaria a un gesto generoso, ma la signora, senza mai rivelarla a nessuno del Comune o del Museo, aveva già pronta un’altra destinazione, e, poco dopo la fine della mostra, i de Pisis partirono per Ferrara.
Oggi la signora Franca Malabotta dichiara, sempre a mezzo stampa: “tutti sapevano della mia intenzione di donare la collezione de Pisis, non c’era alcun bisogno di fare un’offerta ufficiale; ma nessuno si fece avanti e allora optai per Ferrara, la città di de Pisis…”. La stessa risposta venne data nel 1996 quando fu intervistata dal “Piccolo” in seguito al rumore che aveva fatto la sua inaspettata donazione a Ferrara. Vale la pena riportare le dichiarazioni rese al giornale dal citato assessore Damiani:
“E cosa dovrei fare, prendere il telefono e cominciare a corteggiare i collezionisti? No, mi sembra decisamente di pessimo gusto che le realtà pubbliche interpellino i titolari di raccolte private. Potrei dirmi colpevole – e lo dico anche a nome dei miei predecessori– soltanto se a monte ci fosse un preciso segnale da parte della proprietà… “. E ancora: “Abbiamo speso settanta milioni per allestire la mostra della collezione Malabotta al Museo Revoltella. Se la signora, in quella circostanza, avesse voluto riconsiderare la sua decisione, non avrebbe più potuto dire che non esiste un museo adeguato alla raccolta. No, davvero, in questo caso non abbiamo nulla da rimproverarci…”.
E noi ora che cosa dovremmo rimproverarci? Di non avere fatto ancora il censimento delle collezioni private per sollecitare donazioni? Di non lanciarci sugli eredi appena muore un collezionista?
 
Di non vuotare le sale per fare posto a nuove donazioni, se per caso i musei non hanno spazi? Siamo certi che le donazioni autentiche e sincere arriveranno spontaneamente anche in futuro, come è sempre stato. Chi ha voluto donare sul serio, perché ama i musei, lo ha fatto senza subire pressioni, senza porre condizioni e con iniziative ufficiali, chiare e inequivocabili. Non è mai accaduto che un direttore o un assessore abbiano dovuto bussare alla porta. Altrimenti, che dono sarebbe stato?

Quando andiamo a rileggere la nostra storia, iniziata nel 1872 da una grande donazione, quella di Pasquale Revoltella, che di certo non ebbe bisogno di essere “corteggiato” da alcuno per decidere di contribuire alla cultura della sua città, troviamo continue proposte di donazioni, alcune accettate, altre rifiutate, dal Curatorio del museo, che, da sempre è stato il giudice unico del valore degli oggetti destinati alle collezioni.
Le donazioni importanti, comunque, sono sempre state riconosciute e accolte e restano importanti per il museo, anche se nel frattempo sono passati cinque direttori e decine e decine di membri del Curatorio. Da vent’anni a questa parte sono arrivate oltre 250 opere in dono sia da collezionisti che da artisti, tra cui alcuni personaggi ben noti a Trieste come Mascherini, Zigaina, Miela Reina, Predonzani, Schiozzi, ecc. o anche nomi internazionali come Edo Murtic e Daniel Spoerri. Nessuna di queste è arrivata accompagnata da polemiche sulla stampa, alimentate da quel sottobosco di piccoli interessi che è una parte del collezionismo locale, alla quale evidentemente alcuni giornalisti non sono estranei, ma, al contrario, dalla volontà dichiarata e dalla consapevolezza di entrare in un grande museo. Sono arrivate da grandi donne e grandi uomini con un alto senso delle istituzioni e con la convinzione di fare qualcosa per la storia. Adesso invece tocca difendersi da chi cerca i “cinque minuti di celebrità” di una polemica sul quotidiano locale. Giusto il tempo di un caffè al bar.

Maria Masau Dan
Direttore del Museo Revoltella

Le fotografie 2,3,4, sono di Mattia Visintini
Nelle fotografie 1 e 5 la mostra della donazione Gruber Benco (2006)

 

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